L’imperialismo tedesco tra l’incudine e il martello

Il 28 ottobre, il presidente tedesco e membro del Partito Socialdemocratico (SPD) Frank-Walter Steinmeier si è rivolto a una platea di ospiti scelti nel Palazzo Bellevue, la sua residenza ufficiale. Nel suo discorso sullo “stato della nazione”, ha notato che il mondo “si sta dirigendo verso un periodo di scontro” e che “la lotta per il predominio” sta prendendo il sopravvento.

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Ha avvertito la platea che “anni duri, anni difficili sono in arrivo” e che “il dividendo della pace è stato divorato”. Affinché la Germania possa mantenere il suo posto nell’attuale situazione mondiale, ha spiegato, “[dobbiamo trovare] la volontà di imporci”, di mostrare “la forza del sacrificio” e “soprattutto, una Bundeswehr [le forze armate tedesche] forte e ben equipaggiata. Quando la Russia diede inizio alla sua invasione dell’Ucraina a febbraio, il cancelliere tedesco Olaf Scholz (SPD) annunciò che era richiesto un “Zeitenwende”, cioè una “svolta” nell’approccio della Germania alla politica esterna, inclusi aumenti significativi alla spesa militare.

Da dove viene questa richiesta di un cosiddetto Zeitenwende?

[Nota: il termine “Zeitenwende”, usato per la prima volta da Scholz nel suo discorso di febbraio, è da allora diventato un tema regolare nella stampa capitalista in Germania. Viene utilizzato per indicare un nuovo periodo, così come una nuova politica di governo. Mentre affermano che la politica tedesca si è caratterizzata in passato per un “pacifismo” adatto a un tempo di pace, cooperazione e prosperità; adesso parlano di un Zeitenwende nel quale il mondo è divenuto più “multipolare” e “frammentato”, giustificando così il nuovo corso militarista della classe dominante tedesca.]

La resa dei conti imperialista

La sete di profitto insaziabile del capitalismo costringe i capitalisti alla ricerca e al controllo di nuovi mercati. Ma quando il mondo intero è diviso tra i monopoli internazionali e i loro stati imperialisti – specialmente gli USA, la Cina e l’UE con la Germania alla sua testa – essi sono costretti a taglieggiarsi a vicenda e a intensificare il saccheggio degli stati più piccoli e dipendenti.

Negli ultimi decenni, la distribuzione del produzione globale è cambiata drammaticamente. Tra gli anni 2000 e 2019, il volume della produzione globale è cresciuto significativamente, ma la quota degli USA è passata dal 20,4% al 15,1% e quella dell’UE dal 23,5% al 16,1%, mentre la quota della Cina è cresciuta dal 7,3% al 19,2% (misurata in termini di parità del potere d’acquisto (PPA), secondo l’Atlas of the World Economy 2020/2021). Insieme, queste potenze imperialiste dominano il resto del mondo, e congiuntamente sono responsabili di più del 50% della produzione mondiale.

L’ascesa della Cina a potenza mondiale, combinata al relativo declino degli USA (e, in misura molto maggiore, al relativo declino dell’UE), sta portando a un cambiamento nell’equilibro di potere a livello globale. La globalizzazione – l’espansione della divisione internazionale del lavoro e la crescita del commercio mondiale – si sta trasformando nel suo opposto. Al fianco della corsa per il predominio sul mercato mondiale, stanno emergendo processi protezionistici come il decoupling [Ndt, rilocalizzazione della produzione in patria o in paesi alleati], le barriere commerciali e le guerre economiche.

Dove prima c’erano “partner”, adesso ci sono “concorrenti” e “rivali sistemici”. Sebbene non venga dichiarato esplicitamente, questo è vero anche delle relazioni della Germania e dell’UE con gli Stati Uniti. Le contraddizioni del capitalismo globale stanno costringendo le potenze imperialistiche allo scontro. Esse sono spinte a perseguire i propri interessi a spese delle altre.

Una rete di dipendenze

Lo scontro tra i due giganti – gli USA e la Cina- sta logorando l’UE e, soprattutto, l’imperialismo tedesco. Quest’ultimo si è avvantaggiato di una lunga fase di globalizzazione e di relativa stabilità del mercato globale. Il capitalismo tedesco è stato capace di fare affari in tutto il mondo, crescendo fino a diventare la quarta economia globale, con significativi surplus commerciali. Ma questa posizione viene oggi messa in discussione.

La guerra economica degli USA e dell’UE contro la Russia ha tagliato fuori la Germania dalla sua fonte di energia a basso costo tanto necessaria, rendendo la produzione e l’export delle merci tedesche più costosi e meno competitivi. I suoi rivali, gli Stati Uniti e la Cina, sono i due più importanti singoli partner commerciali della Germania. Nel 2021, per esempio, le aziende tedesche hanno esportato merci per un valore 104,6 miliardi di euro in Cina e hanno importato merci per un valore di 142 miliardi di euro. Nello stesso anno, merci per un valore di 122 miliardi di euro sono state esportate negli USA, con importazioni per 70 miliardi di euro.

Per di più, la Germania non può giocare un ruolo indipendente nella politica mondiale rispetto all’Unione Europea. E quest’ultima è anche il suo più importante partner commerciale. Nel 2020, per esempio, merci per un valore di 546,7 miliardi di euro sono state importate dall’UE alla Germania, mentre 635,7 miliardi di euro di merci sono stati esportati nell’UE.

Di nuovo, la Cina ricopre un posto centrale per il commercio europeo. Nel 2021, merci per un valore di 696 miliardi di euro sono state scambiate tra la Cina e l’UE. Questo rappresenta il 16% del commercio totale dell’UE rispetto al 15% degli USA. La Cina corrisponde il 22% delle merci importate nell’UE, mentre gli Stati Uniti corrispondono l’11%. Al contrario, il 18% delle esportazioni dell’UE è andato agli Stati Uniti, mentre il 10% in Cina.

Adesso, la guerra in Ucraina e lo scontro tra gli USA e la Cina stanno costringendo il governo tedesco e il capitale tedesco a schierarsi per evitare di trovarsi totalmente schiacciati tra l’incudine e il martello. Dal momento che le relazioni economiche, politiche, diplomatiche e militari degli stati membri dell’UE sono più profonde storicamente con gli USA che con la Cina, la direzione è già tracciata. Ma questo comporta un costo economico e politico enorme.

Spaccature al vertice

Più di ogni altra cosa, la dipendenza militare dell’UE dalla Nato, sta spingendo la Germania a orbitare in maniera più vicina attorno agli USA. Questa politica di sottomissione all’imperialismo statunitense viene espressa nella maniera più chiara dai Verdi e dal Partito Liberale Democratico (FDP [Freie Demokratische Partei, Ndt]). Sono quelli che fanno più baccano di tutti nell’insistere sul rafforzamento delle relazioni transatlantiche, su un impegno maggiore nella guerra in Ucraina attraverso l’invio di denaro e armi, sulle sanzioni, e su una nuova “strategia verso la Cina”. Centrali nel loro programma rispetto alla Cina sono il decoupling e il protezionismo nei confronti delle merci e delle aziende cinesi in Europa.

Questo approccio non ha trovato proprio un’accoglienza entusiasta tra le aziende della borsa tedesca. Esse intrattengono importanti relazioni commerciali con la Cina e vi hanno fatto grandi investimenti. La Volkswagen ha venduto quasi il 42% dei suoi nuovi veicoli in Cina nel 2021 e lì ha fatto il 40% dei suoi profitti. La BMW conta quasi il 23% delle sue vendite in Cina, la Siemens il 13%, l’Adidas il 21%, la Merck il 14,7%, la Bayer l’8,7%, la Wacker il 29%, la Basf il 15%. Il decoupling dalla Cina è fuori questione per queste aziende.

Il recente viaggio in Cina del cancelliere tedesco ha sottolineato le linee di divisione all’interno del governo tedesco, e tra le multinazionali e i Verdi. Durante la preparazione del viaggio, Scholz ha imposto la parziale acquisizione di un terminal per container al porto di Amburgo da parte dell’azienda logistica statale cinese Cosco, contro la volontà di sei ministri del governo, dell’agenzia dei servizi segreti esteri, e dell’Ufficio per la Protezione della Costituzione. Questa manovra, così come il suo viaggio in Cina, sono costati al cancelliere una pletora di critiche, specialmente da parte del Ministro degli Esteri Annalena Baerbock (dei Verdi). Scholz ha risposto a tutto ciò pubblicamente, perfino scrivendo un lungo articolo di fondo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il 3 novembre, nel quale ha difeso il suo viaggio.

Qualche giorno dopo, in un loro articolo, i rappresentanti della delegazione d’affari che accompagnava il cancelliere (composta dai dirigenti delle summenzionate aziende della borsa tedesca), sono accorsi in suo aiuto. Mentre essi pure dichiaravano di essere dell’opinione che fosse necessaria una nuova strategia che identificasse la Cina come “partner, concorrente e rivale strategico”, dicevano che gli affari comuni dovevano essere messi in primo piano.

La politica statunitense dell’ “America first” umilia il suo “alleato strategico”

Allo stesso tempo, il governo statunitense sta badando solo al proprio tornaconto. La politica dell’“America first” è rimasta immutata sotto l’amministrazione Biden. Con il multimiliardario disegno di legge sul clima, o “Inflation Reduction Act” (IRA), il governo americano sta promettendo grossi sussidi alle aziende nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’idrogeno. L’IRA prevede dei requisiti severi di “Made in America” virtualmente ad ogni passaggio della produzione, dall’estrazione e il trattamento delle materie prime all’assemblaggio dei prodotti preliminari e intermedi, fino al riciclo. Solo coloro che producono negli USA possono ricevere i sussidi.

Il capitalismo statunitense vuole vedere la produzione industriale di tutto il mondo rilocalizzata negli USA. Nuovi impianti e più produttivi, controllo sulle catene di approvvigionamento e produzione così come sulle fonti delle materie prime, e, soprattutto, i profitti sono tutti pensati per rafforzare ancora una volta il predominio degli USA a livello mondiale. Qualsiasi tecnologia anche solo vagamente “verde” viene sovvenzionata con cifre che si aggirano sulla soglia delle centinaia di miliardi di dollari: dalle batterie e l’idrogeno, alle turbine eoliche e i parchi solari. Molte aziende tedesche, desiderose di mettere le mani su una parte di questo denaro, hanno pianificato di rilocalizzare la produzione dall’Europa agli Stati Uniti per ottenere i requisiti necessari. La lista di aziende include giganti come Volkswagen, Audi e Siemens.

Il Der Spiegel ha citato le parole di Joe Kaeser (per lungo tempo padrone della Siemens e attuale presidente del consiglio di sorveglianza della Siemens Energy and Dailmer Truck Holdin) che diceva che l’Europa “ormai non è in competizione sistemica solo con la Cina, ma, in una certa misura, anche con gli USA”. La sua osservazione ha fatto centro. Con i sussidi e le linee guida protezioniste, gli Stati Uniti stanno cercando di esportare la disoccupazione interna e di stimolare la reindustrializzazione. Ma questo può compiersi solo a spese del suo “alleato strategico”, l’Europa – e, chiaramente, del resto del mondo.

L’UE e il governo tedesco non possono fare altro che cuocere nel proprio brodo. Questa è una “violazione dei trattati commerciali internazionali” e l’inizio di una “guerra commerciale” tra l’UE e gli USA, nel mezzo del conflitto ucraino, si lamentano i politici europei. Niente male per la “ferrea unità dell’Occidente”: quest’ultima è una farsa. Ma l’Ue non può neanche rinserrare le fila per sfidare gli Stati Uniti. Anch’essa è logorata da una profonda crisi interna. Tutto quello che possono fare è lamentarsi con il proprio “alleato”. Come ha detto il Der Spiegel: “Il Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha implorato Biden al summit del G20 a Bali di bloccare la legge”. “Mostrare a Washington i denti”, come ha annunciato il politico dei Verdi Reinhard Buetikofer, non ha sortito alcun effetto.

Camminando su una fune sospesa sull’ignoto

In mezzo a tutto ciò, l’SPD al governo – i cui leader hanno servito in maniera affidabile la classe capitalista per decenni – stanno cercando di equilibrare gli interessi contraddittori del capitalismo tedesco. Vorrebbero evitare ulteriori problemi come quelle l’ondata pandemica e della guerra ucraina. Sono spinti dalla paura della deindustrializzazione, della “perdita della prosperità” e di uno tsunami di lotta di classe.

Stanno lavorando a stretto contatto con la classe dominante per questo obiettivo. Recentemente, Rainer Dulger, il presidente della BDA (l’organizzazione ombrello delle associazioni padronali tedesche), ha chiesto che il governo tedesco metta in piedi un ministero delle materie prime per assicurare al capitale tedesco l’accesso alle terre rare, alle fonti di energia e a altre importanti materie prime. La loro attenzione è puntata in particolare sull’Africa, l’Asia e l’America Latina – regioni nelle quali gli USA e la Cina stanno espandendo le proprie sfere di influenza.

Non è questa una chiara dimostrazione del fatto che, come dicevano Marx e Engels, lo stato non è nient’altro “che il comitato che amministra gli affari comuni di tutta la borghesia”? Il governo, le associazioni padronali e le banche si uniscono per imporre i propri interessi di classe nel mondo. Questa è la caratteristica centrale dell’epoca imperialistica, come spiegava Lenin nel 1916.

Tuttavia, la fune sulla quale il governo federale e il capitale tedesco cercano di mantenere l’equilibrio sta consumandosi senza sosta, mentre l’abisso sotto di loro diventa sempre più profondo. Le contraddizioni che avvolgono il capitalismo tedesco su scala mondiale non permetteranno una soluzione negli interessi dell’imperialismo tedesco.

Potenza militare

Nella lotta imperialista per le sfere di influenza, le risorse, i mercati, le tecnologie e la manodopera, gli imperialisti tedeschi vorrebbero mantenere le proprie posizioni contro la China, la Russia e anche gli USA. Nelle parole di Lars Klingbeil, in un discorso proferito dal leader dell’SPD a giugno, la Germania deve “rivendicare di essere una potenza di primo piano”. In un mondo dove i politici stanno innalzando barriere al “libero commercio”, l’imperialismo tedesco non può più permettersi di dominare la sua “sfera di influenza” solo attraverso la leva economica. Deve anche diventare una potenza militare [corsivo dell’autore] in maniera corrispondente ai suoi interessi economici.

Per sorreggere il suo predominio politico e economico nell’UE, deve attrezzarsi per espandere la sua potenza militare in Europa. Questa precisamente è la motivazione dietro il recente annuncio di un Fondo Speciale di 100 miliardi di euro per le forze armate e l’aumento della spesa militare annua a almeno il 2% del Pil. Con una Bundeswehr più aggressiva, ammodernata e con finanziamenti molto più sostanziosi, sperano di ottenere una leva migliore per indirizzare l’UE negli interessi del capitale tedesco.

Ma le divisioni dentro l’Ue pongono dei limiti determinati alla capacità del capitale tedesco di intraprendere una linea di indipendenza. Man mano che queste divisioni si approfondiscono, diventerà solo più difficile imporre con forza i propri interessi imperialistici al di fuori dell’Europa. Presto o tardi, dovranno rassegnarsi a essere un “alleato” minore degli USA- una relazione che somiglia più al servaggio che all’amicizia.

Ci saranno spaccature ulteriori e più profonde nel governo e nella classe capitalista riguardo a simili questioni strategiche. Questo apre una fase di instabilità politica ancora più pronunciata, polarizzazione e, a un certo punto, di sviluppi rivoluzionari in Germania. Su questa base solo una cosa è certa: il declino dell’imperialismo tedesco continuerà e con esso il declino dell’UE.

Lotta di classe

Il desiderio di affermarsi come una “potenza di primo piano” alla fine significa riarmo. Ma questo tipo di spese improduttive significa solo più inflazione e una austerità più dura. L’antagonismo di classe in Germania si intensificherà ulteriormente. Se la quota dell’industria della difesa nel budget statale cresce, di conseguenza bisognerà fare inevitabilmente dei tagli a altre voci. Questo approfondirà la crisi nelle infrastrutture e nella sanità, aumenterà la carenza di personale negli asili, nelle scuole, nelle cliniche e negli uffici pubblici, e porterà a tagli alla cultura e alle altre istituzioni finanziate dallo stato.

È chiaro chi, nella mente di Steinmeier, avrà bisogno di “forza di sacrificio”, come ha detto. La classe lavoratrice deve soffrire affinché lo Stato possa ammodernare i suoi mezzi di distruzione. Ma questa etica del sacrificio la stanno già mettendo alla prova nelle lotte per il contratto collettivo che sta combattendo la Confederazione dei Sindacati Tedeschi. In “tempi difficili”, ci dicono che l’economia non dovrebbe essere gravata dalle richieste di salari più alti. Ma il declino negli standard di vita e le recessioni e le turbolenze in arrivo provocheranno una reazione da parte della classe lavoratrice.

I conflitti imperialistici, il militarismo, il riarmo dello stato capitalista, e il rafforzamento dei suoi mezzi di repressione, sono sempre e ovunque pagati dalla classe operaia e rivolti contro di essa. Per porre fine a questa spirale di conflitti imperialistici, il capitalismo deve essere rovesciato in Germania e in tutto il mondo. La classe lavoratrice deve rispondere alla politica imperialistica con la lotta di classe.

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